Il critico stratega
Esiste, o almeno dovrebbe esistere, una scienza dei rapporti in letteratura: messo a confronto con un altro scrittore, o con un filosofo, o addirittura con uno scienziato, uno scrittore dovrebbe rivelare ciò che, sottoposto a un'indagine svolta con strumenti consueti, di solito non rivela. Il segreto, logicamente, sta tutto nell'evitare confronti scontati, o troppo agevolmente prevedibili, dai quali non molto si ricaverebbe. Nel Critico stratega di Fausto Curi il rapporto viene stabilito fra Giovanni Pascoli e Sigmund Freud, fra Aldo Palazzeschi e Friedrich Nietzsche, fra Renato Serra e Platone e Kant, fra Edoardo Sanguineti e gli scrittori dell'Oulipo. Nulla di forzato o di risicato, tutto avviene sulla base di solide ragioni, di rigorose analisi testuali. Tanto più che il libro, come mostra il saggio iniziale, che è poi quello che gli dà il titolo, si fonda sul seguente presupposto: fare storia di un'opera letteraria significa interpretarla e non si interpreta senza una congrua elaborazione teorica che accompagni l'interpretazione, non si dà analisi di un testo senza affidarla a concetti-guida, a principi e criteri discriminanti. E tanto più che tale elaborazione teorica, tali principi e criteri discriminanti non operano in questo libro solo, per così dire, introduttivamente, ma si rinnovano di volta in volta, di saggio in saggio, a seconda dell'oggetto preso in esame, in un "orizzonte di comprensione" che - come insegnava un teoreta dell'acume di Luciano Anceschi, cui pure è dedicato un saggio - mentre si interseca sempre con "l'orizzonte delle scelte", è, al tempo stesso, estremamente vario, complesso, "infinito", in quanto è infinibile.
FAUSTO CURI
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