Autore/Autrice : Maria Careri
Titolo : Il Canzoniere provenzale H
Sottotitolo : (Vat. Lat. 3207) Struttura, contenuto e fonti
ISBN : 9788870001709
Pagine : 556
Uscita : 1990
Formato: 14 x 21
45,00  42,75 

9788870001709 Maria Careri Studi Testi Manuali. «Subsidia al Corpus des Troubadours»

Prodotto Esaurito

Esaurito

A differenza di quanto accaduto per i grandi lirici dell’antichità classica, la tradizione manoscritta dei componimenti trovatoreschi è esclusivamente antologica. Salvo il caso marginalissimo del frammento di Cividale pubblicato da Maurizio Grattoni (1981) e contenente l’inizio del planh en mort d’En Joan de Cucanh (1272), nessun rotolo, nessun breu de parchamina è giunto ai filologi moderni. Questa condizione oggettiva ha fatto sì che, nella storia degli studi sulla lirica d’oc, l’attenzione alle sillogi canzonieresche, in concreto l’attività intesa a procurarne edizioni documentarie, o almeno descrizioni sommarie e indici, sia stata avvertita, fin dagl’inizi, come pregiudizialmente urgente, e si sia poi continuata (con un rapporto, fino al 1952, di due o tre quinti) in parallelo con lo sforzo, più gratificante sotto il rispetto storico-letterario, d’elaborare ricostruzioni critiche dell’opera di singoli poeti. Ovviamente, per porre solide fondamenta al desiderato “Corpus des Trobadours”, i due compiti sono entrambi indispensabili. I progressi sui due versanti si condizionano reciprocamente. Negli ultimi decenni, la sostituzione di fotografie al paziente lavoro di trascrizione manuale ha reso assai più spedito il compito degli editori, e ciò sembra aver fatto pendere la bilancia (almeno quantitativa) dal lato delle edizioni individuali. Le collettive – di tipo diplomatico, o (meno faticosamente, ma più costosamente) fototipico – non sono però divenute superflue. Anzi, appena tre anni or sono, un provenzalista attento quale Francois Zufferey ha ribadito nel modo più esplicito “la nécessité d’entreprendre l’édition diplomatique de tous les chansonniers conservés”. In effetti solo un quarto di questi (circa la metà dei più importanti) ha sinora dato luogo a pubblicazioni di questo tipo. Ma più ancora delle trascrizioni diplomatiche, seppure a quelle necessariamente connesso, appare indispensabile ed urgente uno studio approfondito dei canzonieri medesimi, tale da fornire a chi si occupa d’autori singoli un quadro sicuro delle pregiudiziali d’insieme. Occorre, anzitutto, analizzare minutamente la struttura codicologica dei canzonieri, a quel modo di cui Anna Ferrari ha dato esempio (1979) analizzando (con incidenze anche su problemi d’attribuzione, di stemmatica e insomma di critica testuale) il canzoniere galego-portoghese Colocci-Brancuti. Occorre, in secondo luogo, studiare sistematicamente, di ciascun canzoniere, l’àbito grafematico-linguistico, come ha fatto egregiamente Jacques Monfrin per il canzoniere C (1955), e più di recente (1987) Francois Zufferey con impegno comparativo esteso a una ventina di manoscritti. Occorre infine – ed è quel che finalmente più importa – perseguire quella complessa ricerca d’insieme sulla “stemmatica dei canzonieri” che, inaugurata con magistrale impegno pionieristico (anche se su basi inevitabilmente schematiche) da Gustav Grober (1877), ha atteso quasi un secolo prima d’essere felicemente ripresa, con gli aggiornamenti del caso, da D’Arco Silvio Avalle (1961). Le tre direttrici – codicologica, grafematica e stemmatica – sono solo in astratto isolabili l’una dall’altra. In realtà, quale che sia la dominante occasionale, i problemi di lavoro risultano sempre sottilmente intrecciati e rimandano di continuo dall’uno all’altro aspetto di quell’unità concreta e individua (pur se stratificata e dinamica) ch’è un canzoniere. Basterà, per averne conferma empirica, saggiare il terreno su un qualsiasi punto sensibile in uno qualsiasi dei contributi cui s’è accennato. A tale esigenza di globalità risponde con matura consapevolezza lo studio che Maria Careri ha dedicato al canzoniere H (= Vat. Lat. 3207). L’oggetto – di cui esiste da tempo (1891) un’edizione diplomatica, fornita da L. Gauchat e H. Kehrli – è, per più ragioni, di singolare interesse: un palinsesto su un primitivo manoscritto latino d’estrazione universitaria; un “libro non finito” di compilazione tipologicamente arcaica, non però occasionalmente composita (come credeva il Grober), bensì unitariamente intenzionata, entro uno scriptorium privato, per uso personale d’un amatore competente che, in corso d’opera, potè disporre di fonti diverse; un prodotto d’area veneta (probabilmente padovana) databile all’ultimo quarto del secolo XIII, già posseduto da Pietro Bembo, utilizzato poi (e glossato) da Giammaria Barbieri. La trattazione, ampia e minuziosa, non elude alcun problema ed è razionalmente articolata in maniera chiarissima, di pronta funzionalità alla consultazione anche saltuaria.