Autore/Autrice : Ruggero M. Ruggieri
Titolo : Li fatti di Spagna
Sottotitolo : Testo settentrionale trecentesco già detto
Pagine : 182
Uscita : 1951
Formato: 19 x 28
26,00  24,70 

Ruggero M. Ruggieri

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Il ms. della Biblioteca Universitaria di Pavia attualmente segnato Aldini 553 fu già oggetto, nel 1871, di una poco scrupolosa edizione da parte di Antonio Ceruti, che lo pubblicò a Bologna in due volumetti della “Scelta di curiosità letterarie inedite o rare” (CXXIII-CXXIV), col titolo non molto felice di Viaggio di Carlo Magno in Ispagna per conquistare il cammino di S. Giacomo, desunto dal primo capitolo. I gravi difetti di questa stampa (in cui vengono fraintese od omesse parole e frasi intere, e si sostituiscono ai “troppi arcaismi e solecismi” della lingua del testo originale “le corrispondenti voci italiane”) furono rilevati e deplorati da vari studiosi, quali il Thomas, il Bertoni e il Catalano, sì che una nuova più corretta edizione era da tempo nei voti di quanti si interessano alla storia dell’epopea francese e in particolare alla diffusione e agli sviluppi che essa ebbe in terra italiana. Col procedere delle indagini intorno a tale complesso problema, il rifacimento trecentesco pavese si viene infatti rivelando sempre più importante, sia che ne appaiano gli stretti rapporti con l’Entrée d’Espagne pubblicata dal Thomas nel 1913, sia che se ne colgano le molteplici concordanze, meno strette ma sempre palesi, con la Spagna in rima edita dal Catalano nel 1939-40 o coi due poemetti provenzali (Ronsasvals e Roland a Saragosse) studiati e dati in luce dal Roques dal 1932 al 1947. E se dai testi or ora elencati, comparsi dopo il lavoro del Ceruti, allarghiamo lo sguardo ad altri non meno importanti per il nostro argomento, quali ad esempio la Chanson de Roland coi suoi rimaneggiamenti, e il Galien, e l’Aspremont, e la Spagna in prosa, ci accorgiamo che anche con essi i Fatti di Spagna si mostrano più o meno direttamenti apparentati, sì da potersi in definitiva asserire che attraverso vie tortuose e intricate venga a confluirvi, sulle orme della fusione già realizzata nell’Entrée, molta parte di quella materia epico-romanzesca di cui si andavano riempiendo o compiacendo, tra il sec. XIII e il XIV, soprattutto la Francia, l’Italia e la Spagna, non senza che i vari rifacitori cercassero, con elaborazioni più o meno personali, di allettare e di soddisfare il gusto e magari anche le vanità nazionalistiche dei rispettivi popoli. Anzi, per quanto concerne il nostro testo, si può forse fare un passo avanti affermando che esso consolida un’ipotesi acutamente affacciata dal Rajna, ad altro proposito, sin dal 1872, secondo la quale il romanzo in prosa, anche in quanto si aggira intorno al ciclo di Carlo, non dovette appartenere in Italia alla sola Toscana, bensì anche alle province settentrionali, onde a tali prosificazioni sia da attribuire, nello svolgimento storico della letteratura cavalleresca, una importanza simile a quella dei loro confratelli poetici. In questo volume di dà il testo, direttamente esemplato sul manoscritto pavese e corredato in note critiche; nel discutere o nello stabilire qualche “lezione” dubbia si è confrontato con l’Entrée d’Espagne (ediz. Thomas, indicata nello note con E) che spesso l’autore italiano traduce direttamente.